MILANO, 30 e 31 MARZO 2012
FieraMilanoCity - Fa' la Cosa Giusta
ACLI LOMBARDIA
RELAZIONE DEL PRESIDENTE REGIONALE
GIAMBATTISTA ARMELLONI
Il presente congresso delle ACLI regionali lombarde si pone in un quadro di grande complessità.
Siamo al termine di un quadriennio – quello del mandato 2008-2012 – in larga misura segnato dalla crisi economica, che ha scosso le piazze finanziarie del mondo intero e che ci sta obbligando a considerare con occhi nuovi gli scenari del lavoro, dell’occupazione, delle prospettive di vita di milioni di persone. Stiamo attraversando un lungo tunnel e siamo consapevoli che dalla crisi non si uscirà semplicemente attraverso il ripristino dello status quo ante: forse non torneremo più ai livelli occupazionali pre-crisi, e soprattutto siamo indirizzati verso un modello di società che davvero richiede paradigmi interpretativi nuovi.
E abbiamo scelto di celebrare il Congresso in questo luogo e in questo contesto: “Fa’ la cosa giusta” - la fiera nazionale degli stili di vita, simbolico e denso di messaggi legati a uno sviluppo equo, giusto e sostenibile. Il cambiamento dei nostri stili quotidiani di consumo non è solo la “buona azione” del “buon cittadino”, ma è molto di più. Sollecita il nostro pensiero e la nostra azione, invita a metterci in discussione e a confrontarci sul nuovo modello di sviluppo, che comprendere una ridefinizione delle relazioni tra democrazia, economia e sviluppo. A tale riguardo, vi invito a leggere con attenzione il Quaderno L’economia responsabile che avete in cartellina.
Non si può iniziare la riflessione senza fare un riferimento al fatto che tra qualche settimana Milano vedrà convergere il mondo intero, per porre al centro dell’attenzione il tema della famiglia quale comunità imprescindibile e quindi da tutelare, al fine di ricostruire una società più umana e di più proficua relazione. Il titolo dell’incontro: Famiglia, lavoro e festa intreccia in maniera piena i nostri legami associativi. Il Convegno rappresenta per noi un’occasione di grande importanza; viviamo allora anche il presente Congresso come un dono da offrire alla Chiesa tutta in vista di tale appuntamento.
Ci viene chiesta profonda attenzione nel leggere le situazioni e i cambiamenti in atto, accompagnando e supportando in particolare le fasce di popolazione più deboli ed esposte: non a caso, “vulnerabilità” è stata una delle categorie sulle quali abbiamo più insistito in questi anni. Ci viene chiesta una sapiente lettura politica dei fenomeni, quale apporto al dibattito e all’elaborazione in vista delle decisioni concernenti la cosa pubblica; ci viene chiesto un contributo sostanziale a quella economia buona che sarà al centro del confronto congressuale nazionale.
Su questo sfondo, muovendomi in maniera volutamente sintetica, verrò a tratteggiare alcuni nodi fondamentali sui quali si basa il nostro impegno associativo regionale; passerò quindi ad alcune tesi specifiche relative ai grandi temi – lavoro, welfare, democrazia – che in seno al presente congresso non ci è lecito trascurare né semplificare; terminerò insistendo sul profilo regionale, posto che in questi anni esso ha visto un crescente coinvolgimento, su diversi versanti, della nostra struttura.
Le basi della nostra esperienza associativa:
fraternità e spazi di partecipazione, al servizio di una economia buona
Parlare di fraternità significa portare l’attenzione su uno dei cardini della nostra esperienza associativa di questi quattro anni, ossia la vita cristiana che negli incontri di Camaldoli ha trovato uno dei suoi luoghi di maggiore rilevanza. Una intuizione nata dal confronto con padre Pio Parisi e con il suo messaggio della “Cattedra dei piccoli e dei poveri”, frutto di una lettura della Parola di Dio nell’ottica di coloro verso i quali il Signore Gesù mostra una benevolenza particolare: i piccoli appunto. Il tutto intrecciato con la considerazione dell’attualità del Concilio Vaticano II, che ha segnato in maniera profonda la vita della chiesa contemporanea e che, al di là di alcune interpretazioni riduttive, continua a proiettare il senso di un discernimento comunitario che ancora oggi è chiesto alle comunità cristiane, ulteriormente attualizzato attraverso l’accoglimento dell’insegnamento sociale della chiesa, pietra miliare per indirizzare il nostro impegno nella realtà concreta.
Da tutto ciò scaturisce un orientamento costante: la centralità della persona, e con più precisione la centralità della persona come essere-in-relazione. “Nessun uomo è un isola”, titolava un celebre libro di Thomas Merton. Nessuna persona è isolata, nessuno può vivere da solo, siamo sempre inseriti in quella trama di relazioni – in quella trama di fraternità – che ci costituisce come persona. Lo stesso termine persona reca profonda in sé l’impronta della relazione: vi ri-suona infatti l’eco dell’altro e della voce che egli pronuncia. Sono queste le basi del “personalismo comunitario cristiano”, lettura profondamente umana prima ancora che cristiana.
Se la persona è un essere strutturalmente in relazione, ne segue che il bene comune deve rappresentare la principale categoria della socialità. Il bene comune non è la somma dei beni individuali, né costituisce la semplice istanza di tutela di alcuni beni particolari: è questa la logica della lobby, dove gli interessi di alcuni si coalizzano per difendersi dagli interessi degli altri. Viceversa, la categoria del bene comune discende dalla concezione di persona appena delineata: all’essere-in-relazione fa da sfondo la responsabilità comune affinché ogni persona venga promossa nella sua dignità più propria.
Ne viene immediatamente un inciso, che riprenderemo nella seconda parte della relazione: parlando di lavoro, di welfare e di democrazia non ci sposteremo dall’asse appena tratteggiato. Il lavoro è sicuramente mezzo di sostentamento, ma al contempo va inserito in una riflessione circa il diventare persona di cui esso è fattore costitutivo. Parlare di welfare significa riflettere sulle condizioni perché a nessuno, in particolare alle fasce più deboli della popolazione, venga preclusa la qualità di “vita buona”. Parlare di democrazia e di politica significa dare il nostro contributo al disegno di una responsabilità civile all’altezza delle sfide cui la persona è oggi sottoposta. E si diceva poc’anzi: ogni persona. Il bene comune viene infatti non solo sminuito, ma di fatto annientato nella misura in cui ad alcune persone o gruppi di persone non vengono riconosciuti alcuni di quei diritti fondamentali che consentono alla persona di realizzarsi come tale.
Le ACLI sono nate e ancora oggi continuano a proporsi come spazi umani di partecipazione, come luoghi di relazione e di conferimento di senso. Questo va sottolineato, persistendo peraltro il rischio dell’eccessivo appiattimento dell’associazione stessa sul versante dei servizi: questi sono utili, forse indispensabili, senza tuttavia mai dimenticare la differenza tra la semplice attività economica e un servizio teso a promuovere socialità tra le persone. E’ questa la prima valenza politica dei nostri Patronati, dei Centri di Assistenza Fiscale (CAF), di EnAIP. In Lombardia, alla radice associativa troviamo i circoli e le strutture di base, ancorati ai territori e con la finalità di conferire senso alla persona e alla sua domanda di relazione buona. Sono lodabili i circoli in cui cresce il senso dell’azione volontaria, frutto di dedizione appassionata, nella disponibilità a porre gratuitamente le proprie energie a servizio degli altri; sono da incentivare i circoli che sanno far nascere al loro interno una reale partecipazione attiva; sono circoli da valorizzare quelli dalla cui vitalità nascono esperienze di cooperazione, attività sui temi della sobrietà e degli stili di vita. I circoli sono una risorsa, anche se segnati dal passare a volte logorante degli anni. Chiedono l’elaborazione di forme aggregative nuove, chiedono che venga espressa una rinnovata creatività associativa, ma sempre nella direzione di saper tessere quella trama di relazioni buone cui è lecito dare il nome di comunità1.
In questo, una risorsa fondamentale è data dal volontariato, lodevolmente diffuso nella nostra base associativa. Le motivazioni che spingono verso un cambiamento delle condizioni proprie e altrui – nella direzione di una maggiore partecipazione, contro la supremazia assoluta del valore economico – sono decisamente più efficaci rispetto alle motivazioni che trovano origine in una qualsiasi forma di pressione sociale. Laddove i giovani sentono di apportare modifiche e miglioramenti delle condizioni preesistenti a favore dell’autonomia e della crescita dei più vulnerabili (essi stessi compresi), sentono di poter investire tempo e risorse.
Come ricordava Stefano Zamagni, i giovani volontari non intendono prestare la propria opera perché si sostituisca alle mancanze degli altri settori della società; intendono invece diffondere un nuovo modo di essere nella società, fondato sulla logica del dono, della solidarietà e della cittadinanza attiva, un protagonismo che trasversalmente investe tutti i settori. La nostra tradizione associativa sostiene che la voce più udibile è quella frutto dell’unione di più persone; da qui la vocazione necessariamente democratica e partecipativa dell’azione volontaria. In definitiva, è un’azione che si fa insieme senza per questo perdere l’aspetto personale e creativo dei singoli che vi partecipano. Creatività, autonomia di pensiero, solidarietà e responsabilità sono la base dell’esperienza del nostro volontariato.
Attraverso la Convenzione sul Servizio Civile stipulata con Regione Lombardia, con il supporto tecnico della sede di progetto ACLI, promuoviamo un Servizio Civile che è al contempo strumento di welfare, percorso educativo, esperienza di vero e profondo dono di sé. Nostra ambizione è cioè offrire una interpretazione del Servizio Civile Nazionale più ampia e per certi aspetti innovativa rispetto a quella tradizionale, insistendo sul Servizio Civile stesso quale “mezzo di difesa della Patria” (Legge Nazionale 6 marzo 2001) in quanto concorre, insieme al complesso delle misure e degli interventi di welfare, a promuovere la tenuta e la coesione sociale ed economica delle comunità locali intervenendo rispetto ai soggetti più fragili, grazie a tutte quelle attività di “accompagnamento” (socializzazione, partecipazione, relazione, sostegno) che sono specificamente demandate e spesso possibili unicamente grazie all’apporto dei volontari del Servizio Civile. In questa luce il Servizio Civile diventa immediatamente una forma di strumento di contrasto alla vulnerabilità, in riferimento sia ai destinatari dei progetti (soggetti fragili) sia in relazione ai volontari stessi, ovvero ai giovani che possono crescere a livello personale, relazionale e professionale proprio grazie a questa esperienza. Il Servizio Civile può così diventare un fattore di “educazione alla cittadinanza attiva, alla solidarietà, al volontariato” (Legge Regionale 3 gennaio 2006), percorso di consapevolezza della propria responsabilità rispetto alla comunità di appartenenza e all’importanza della gratuità verso gli altri.
Dobbiamo dunque proseguire nel nostro impegno a tessere relazioni buone, ponendo così le basi per il crescere di quella fraternità che dice dell’umano, del nostro sentirci anzitutto uomini e fratelli. In questo modo potremo davvero realizzare quel “rapporto intrinseco tra fede, cultura e politica” su cui ha recentemente insistito il card. Angelo Scola (vedi “Avvenire – Milano Sette” di domenica 25 marzo 2012), consegnandolo in maniera particolare alla riflessione e all’azione delle associazioni e dei movimenti cristiani impegnati nei vari contesti sociali. Occorrerà in questo farsi guidare dallo Spirito Santo, ascoltandolo attraverso il discernimento comunitario e la conversione individuale: in tal modo le ACLI saranno in grado di dire qualcosa di significativo all’interno della comunità cristiana. Riproporremo questi temi nel prossimo appuntamento di Camaldoli (12-14 ottobre 2012); contestualmente sarebbe assai prezioso dedicare il prossimo incontro nazionale di studi sulla scia dei 20 anni dal Convegno di Chiusi della Verna dal titolo La Parola ai piccoli – Vie nuove per la politica e dei 50 anni dall’apertura del Concilio Vaticano II.
Il tale direzione vale anche il richiamo alla coerenza etica, che l’associazione non deve mai smarrire. Non a caso, nel Documento stilato al termine della “Tre giorni di spiritualità e politica” svoltasi lo scorso mese di ottobre a Camaldoli, scrivevamo: “il prossimo congresso dovrà porre una forte attenzione nel vagliare le persone, e prima ancora nell’impostare la discussione e l’elaborazione dei contenuti improntandole alla massima sincerità e limpidità, sviluppando stima e rispetto reciproci, nella consapevolezza di condividere una missione importante. Tutto questo concerne ancora la capacità di distinguere l’aspetto economico e di impresa da un lato, l’aspetto politico-associativo dall’altra (come deliberato nell’ultima Conferenza Organizzativa e Programmatica): ne va della distinzione dei ruoli, pur nella necessaria convergenza di tutte le risorse del sistema al bene dell’associazione. Ne consegue la necessità di costruire regole, limiti e incompatibilità più precise, affinché si promuova la crescita di una classe dirigente al servizio dell’associazione e non – almeno in taluni casi – il contrario. Ne consegue inoltre la necessità di una grande coerenza e trasparenza nella gestione delle risorse, tanto delle persone quanto delle cose (ad es. la pubblicità dei bilanci). Anche la trasparenza è sintomo di fraternità”.
Vogliamo dunque intrecciare fraternità e rigore etico, in questo offrendo il nostro contributo alla costruzione di quella “economia buona” di cui parla papa Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate: “Accanto all’impresa privata orientata al profitto, e ai vari tipi di impresa pubblica, devono potersi radicare ed esprimere quelle organizzazioni produttive che perseguono fini mutualistici e sociali. E’ dal loro reciproco confronto sul mercato che ci si può attendere una sorta di ibridazione dei comportamenti d’impresa e dunque un’attenzione sensibile alla civilizzazione dell’economia” (n. 38). In un tempo in cui la crisi sta mostrando il lato più fragile dell’economia di mercato, sono parole che risuonano come un chiaro ammonimento: l’economia ha bisogno di essere civilizzata o, in altri termini, umanizzata. Al riguardo la nostra storia associativa reca con sé un tesoro di esperienza che chiede di essere costantemente ripreso e attualizzato: dalle cooperative sociali a quelle di edificazione, fino alle molte imprese di tipo mutualistico, davvero alto è il nostro contributo affinché alle persone sia data la possibilità di realizzare importanti obiettivi di lavoro e di vita. Non lo possiamo svalutare nei termini di una “economia di nessuno”; al contrario si tratta di segmenti di quella “economia sociale” che può grandemente giovare alla società e non da ultimo alla stessa economia di mercato.
Nel medesimo contesto è bene ricordare la partecipazione al “Fondo di solidarietà famiglia e lavoro”, istituito dal card. Dionigi Tettamanzi alla fine del 2008, imitato da altri vescovi lombardi - mi preme richiamare al riguardo il contributo sviluppato dalle ACLI bergamasche nel volume Fondo di solidarietà famiglia lavoro - e di recente rilanciato dal card. Angelo Scola, sempre con il forte coinvolgimento delle ACLI. Nel mezzo della crisi economica la comunità cristiana non può stare a guardare. Senza sovrapporsi o volersi sostituire alla responsabilità della politica, occorre mettere in campo tutte le risorse per creare un tessuto di relazioni più coeso e perciò migliore. Quando il lavoro viene a mancare e la disoccupazione rischia di intaccare i livelli dell’autostima e della relazionalità, occorre intervenire attraverso attività formative capaci di supportare i percorsi lavorativi e di vita delle persone. Per questo è importante il contributo di EnAIP, cui è chiesta una accresciuta sensibilità per far fronte ai mutamenti delle condizioni dell’odierno mercato del lavoro.
I campi sopra richiamati avevano la finalità non solo di sottolineare alcuni punti di convergenza del nostro impegno, ma anche e forse soprattutto di indicare una via politica: quella della promozione sociale, da cui scaturiscono proposte concrete anche sul piano dello sviluppo economico. Dal bisogno di casa all’esigenza di assistenza domiciliare; dalla formazione professionale all’accompagnamento delle persone segnate dalla precarietà lavorativa e dalla disoccupazione, costante è l’orientamento di fondo, cioè l’intenzione di far discendere dalle “relazioni buone” che si vengono a tessere sui territori una serie di risposte atte se non a risolvere tutti i problemi, comunque a fare qualche primo passo nella direzione giusta.
La direzione giusta è appunto quella di porre le basi per una società più coesa. In questi anni come ACLI lombarde abbiamo provato a declinare questo tema attraverso progetti concreti, così da generare utilità sociale, premiando l'impegno e valorizzando le buone pratiche, innovando l'organizzazione pur nella consapevolezza di avere tempi lunghi davanti a sé. Un insegnamento che viene dall’impegno di questi anni riguarda il fatto che dobbiamo sempre più convincerci dell'importanza di aiutare le persone nella progettualità, rendendole protagoniste di scelte responsabili e partecipate: abbiamo provato così ad attivare saperi, metodi, mezzi, luoghi dove tutti ed ognuno siano messi nella condizione di modificare gli eventi, mantenendo una memoria forte del passato – le radici – ma volgendo lo sguardo in avanti.
Molte le attività realizzate nel corso degli ultimi anni con progetti innovativi, fra cui, solo per citarne alcuni: il progetto sul territorio di Quarto Oggiaro, nato da un prezioso rapporto con l’Assessorato alle Politiche sociali delle amministrazioni comunali – sia l’attuale che la precedente – nonché dal sostegno di fondazioni bancarie e private; i percorsi di formazione sulla buona gestione e la rendicontazione (intesa come diritto/dovere di rendere conto del proprio agire in modo trasparente); gli studi e le ricerche sulla vita dei nostri Circoli e sui volontari della nostra associazione. Servirebbe molto più spazio per descrivere, per narrare il percorso di questi anni e evidenziare le molte iniziative di valore che siamo stati capaci di mettere in campo, ma una cosa è certa: l'importanza di dire, di cuore, grazie alle tante persone che hanno contribuito con generosità a realizzarle.
In definitiva, lavorare per la coesione sociale significa lavorare per una comunità che sia generativa, che sappia riconoscere, accogliere, accompagnare, sviluppare la persona nella sua straordinaria unicità; significa impegnarsi per far crescere la coscienza politica popolare; significa dare fiducia e ricevere fiducia. E' in tal senso che occorre ripensare le nostre strutture di base e gli altri livelli del nostro movimento, affinché siano sempre più luoghi di senso e spazi di vera partecipazione. E' proprio il tema della partecipazione e promozione sociale, che si configura come chiave per interpretare le nostre scelte: un tema che riguarda la nostra fedeltà alla democrazia, uno stile che deve attraversare ogni nostro livello associativo, un impegno che continuamente dobbiamo saper rinnovare per rendere vive e significative le ACLI.
Leggendo il programma di questo XII Congresso Regionale, qualcuno si sarà chiesto perché abbiamo inserito nei nostri lavori una “parentesi” così impegnativa come il convegno “Dalla CARTA di ALGERI all’EXPO 2015. I DIRITTI DEI POPOLI”?. Un convegno, lo dico con riconoscenza alle Edizioni Gruppo Abele, nel quale di fatto si presenta in anteprima, insieme a “Fa’ la cosa giusta” e a “Terre di mezzo”, il libro di Francois Rigaux I diritti dei popoli e la Carta di Algeri. Se andiamo a rileggere le cronache della Costituente, vediamo come fosse intenso il rapporto di don Giuseppe Dossetti non solo con amici e compagni politici come Moro, Fanfani, La Pira, ma anche con “antagonisti” come Togliatti e, in particolare, Lelio Basso (colui che ha steso il secondo comma dell’art.3 della nostra Costituzione). In una delle sue biografie su quegli anni viene riportato quanto fosse “fecondante” per lui il confronto con queste persone e quanto le loro discussioni, anche accese, si fondassero sulla fiducia e sulla grande considerazione morale e culturale che reciprocamente si dimostravano. Ora, F. Rigaux, insigne giurista della Università Cattolica di Lovanio, è stato, dopo la sua morte, il successore proprio di Lelio Basso, presiedendo la Fondazione Internazionale per la liberazione e il diritto dei popoli, e poi il Tribunale permanente per il diritto dei popoli, di cui Gianni Tognoni, con noi qui oggi, oltre a famoso scienziato medico è segretario internazionale.
Come emerge chiaramente dalla lettura di tutto il volume, e qui sta una sua prima profonda attualità, la Carta di Algeri (diritto dei popoli) può essere considerata cugina di primo grado sia della nostra Costituzione (diritti fondamentali) che della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Se vale la proprietà transitiva in queste cose, permettetemi una affermazione un po’ forzata, ovvero se per le Acli la Costituzione è la magna carta della propria ricerca politica e culturale dalla loro nascita (contemporanea) a oggi, c’è un legame che ci lega anche dal punto di vista delle nostre origini con l’idea del diritto dei popoli, cioè di quelle dimensioni collettive in cui le persone sono generate (lingua, costumi, visioni del mondo, ecc.), sentono di appartenere, condividono una condizione.
Questo ci dà l’opportunità per rimarcare il nostro desiderio di inserirci nel percorso dell’EXPO 2015 – “Nutrire il Pianeta, Energia per la vita”, condividendo – in primo luogo con la comunità milanese, ma poi con tutti gli interlocutori che a livello globale accetteranno il confronto, idee e proposte su un tema strategico per il futuro dell’umanità. Crediamo infatti che l’EXPO di Milano possa e debba rappresentare un’occasione importante non solo per indirizzare le risorse di quello specifico evento verso obiettivi di sostenibilità e compatibilità ambientale o di apertura all’impegno per la lotta contro la povertà, ma anche – e soprattutto – per la capacità di far emergere e diffondere con forza e coerenza le condizioni culturali, sociali, tecnologiche e ambientali necessarie per essere cittadini di un mondo più sostenibile ed equo per tutti. In altri termini, la globalizzazione delle opportunità e della partecipazione, contro la globalizzazione dello sfruttamento e dell’esclusione.
In questa direzione, un’altra sfida è rappresentata dal rilancio il rilancio della “cittadinanza europea”, rimasta finora incompiuta, e che ha rappresentato uno dei temi principali sui quali la Commissione Internazionale si è spesa con le sue iniziative: in particolare gli incontri annuali a Basilea e a Motta di Campodolcino, nonché la recente visita al parlamento europeo di Strasburgo. Questo senza dimenticare i vari progetti di IPSIA all’estero, che coinvolgono molti giovani in esperienze di grande rilevanza sociale e che non da ultimo costituiscono un fattore di grande maturazione per le stesse persone coinvolte.
La costruzione dell’Unione Europea resta una tappa fondamentale per aprirci a nuove visioni, a nuovi modi di “abitare” il mondo, sperimentando e codificando, con leggi apposite e adeguati stili di vita, la pratica della convivenza nella pace e nella giustizia. Non vi sono dubbi che il percorso finora svolto nel processo di unificazione dell’Europa lascia spazio a insoddisfazioni, risente di tentennamenti e difficoltà, evidenziati e accentuati dagli effetti della crisi economica: questa avrebbe avuto esiti almeno in parte diversi se la risposta dell’Europa fosse stata coesa e non spezzettata tra i vari Paesi aderenti. Questo non deve tuttavia annebbiare la visione delle cose o peggio ancora smobilitare il progetto avviato.
Lo ho recentemente richiamato uno dei padri dell’unificazione europea, Helmut Kohl: “Chi oggi nel mezzo della crisi dubita e tentenna, ascolti la mia obiezione: dove saremmo oggi in Europa, se avessimo sempre scelto di soccombere agli spiriti ristretti e ai portavoce dell'eterno dubbio e scetticismo, e non avessimo invece pensato ad attuare la grande idea europea contro enormi resistenze? Intendiamoci, è ben vero che questa via verso l'Europa è stata spesso ardua. A volte ci è anche accaduto di compiere due passi avanti e un passo indietro, e non sempre siamo andati così avanti quanto ci eravamo decisi a fare. Ma anche queste contraddizioni appartengono all'Europa (…). Sulle fondamenta, che così furono costruite, la casa Europa potrà essere ulteriormente edificata, ampliata e resa sempre più solida“ (La Repubblica, 28
febbraio 2012).
Da alcuni mesi c’è poi uno strumento ulteriore che stimola la mobilitazione dal basso alla costruzione di una responsabile cittadinanza europea: si tratta della possibilità di partecipare direttamente alla stesura della legislazione europea. Un milione di cittadini, appartenenti ad almeno sette paesi dell'Unione, hanno la possibilità di invitare la Commissione europea a presentare una proposta legislativa: un'iniziativa che abbia avuto esito positivo può quindi contribuire a definire il programma legislativo dell’Unione Europea stessa. Questo nuovissimo strumento di democrazia partecipativa non ha precedenti a livello internazionale; rafforzerà le basi democratiche dell'Unione e avvicinerà l'Europa ai cittadini offrendo loro la possibilità di far sentire direttamente la loro voce a Bruxelles. Come ACLI Lombarde dovremo inserirci in tale disegno, contribuendo a fondere europeismo e regionalismo, in una dialettica che non può che giovare alla società tutta.
Non sarebbe lecito svolgere una relazione congressuale senza soffermarci in maniera adeguata sui temi del lavoro. E purtroppo, parlare del lavoro significa anche, e immediatamente, parlare del lavoro che non c’è. E significa quindi parlare delle tutele del lavoro precario, delle tutele di quanti faticano a entrare nel mondo del lavoro, ovvero di quanti ne vengono esclusi prematuramente, in un’età non ancora adeguata alla pensione, ma ormai troppo elevata per trovare una nuova collocazione: le fasce dei cosiddetti “né-né” (né lavoratori né studenti) e degli “over 45 anni” sono tra le più esposte. Per tutte queste ragioni, considerata appunto l’estrema complessità dei fenomeni in gioco, non è possibile scindere l’analisi delle politiche del lavoro da quelle relative al welfare.
Di qui una parola di giudizio sulla riforma del lavoro, così come è stata annunciata dal Governo Monti - “salvo intese” e anche salvo le integrazioni e correzioni che verranno apportate lungo l’iter del dibattito parlamentare, nell’intenzione di dare al nostro mercato del lavoro un’impronta più moderna e più adeguata all’evoluzione dei tempi e dei contesti. Buone alcune istanze generali quali la volontà di conferire al rapporto di lavoro a tempo indeterminato la qualità di forma di impiego prevalente, e di conseguenza quella di ridurre gli abusi nel vasto panorama dei rapporti di lavoro a tempo determinato, precario e a partita IVA (spesso la maschera di puri rapporti subordinati), nonché l’intenzione legata all’introduzione dell’ASPI (Associazione sociale per l’impiego), che si propone di estendere la protezione sociale anche alle fasce di lavoratori meno protette.
Complessivamente rimangono tuttavia alcuni punti interrogativi, che sarà giocoforza approfondire ulteriormente, specie nel dialogo con il mondo sindacale. L’eventuale riforma dell’Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori non può essere il pretesto per poter licenziare in maniera facile o peggio ancora indiscriminata. Non si tratta di fare battaglie unicamente di principio, tanto meno di retroguardia, ma di riaffermare lo spirito che soggiace all’Art. 18: ogni lavoratore gode di diritti che solo in casi gravi e con le dovute misure di protezione sociale possono essere sottoposti a limitazione, e soprattutto che chiedono non si smarrisca mai l’orientamento di fondo rappresentato dal primato della persona – e nel caso specifico della persona che lavora - rispetto al capitale e alle logiche che ne conseguono. La persona ha bisogno di lavoro non solo quale mezzo per il sostentamento proprio e della propria famiglia, ma prima ancora per esercitare le proprie capacità e dare un significato alla propria esistenza.
Per molti aspetti siamo davvero in una fase di transizione. Tra qualche decennio le forme di lavoro potranno differire in maniera anche significativa da quelle odierne. La riforma attualmente in discussione può preparare un futuro migliore a intere fasce di popolazione, così come può rappresentare il punto di innesto di discriminazioni ancora più marcate rispetto a quelle che caratterizzano la società odierna. La responsabilità è grande, e di conseguenza occorrono una grande prudenza e la capacità di dialogo tra tutte le parti in gioco, senza sottovalutare il ruolo di rappresentanza esercitato dalle confederazioni sindacali, nel reciproco ascolto e senza esclusioni preconcette.
Un cenno specifico merita il mondo sindacale, che per noi rappresenta un’interlocuzione naturale. Del resto, anche il sindacato vive un momento non facile. Un numero sempre più alto di lavoratori tende a rivolgersi ai sindacati in termini unicamente strumentali, senza comprenderne e condividerne l’ispirazione di fondo e quindi senza partecipare continuativamente alle azioni contrattuali. I sindacati faticano anche perché, insieme alla difesa di diritti e tutele, sono chiamati ad assumere anche il criterio della responsabilità verso tutto il paese. In ogni caso rimane il fatto che senza forme di collaborazione tra le parti sociali, non si può andare lontano; e in questa linea è doveroso insistere affinché il dialogo tra le grandi confederazioni sindacali si faccia più stretto, consapevoli che la battaglia dei sindacati non è quella della politica, ma quella più ampia di sollecitare un nuovo modello di sviluppo, una democrazia economica che ritrovi l’idea di una Repubblica fondata sul lavoro.
E’ in ogni caso difficile non riconoscere come, con il cambio di testimone tra il governo Berlusconi e il governo Monti, l’Italia abbia recuperato credibilità sia sul versante della politica internazionale che su quello delle piazze finanziarie. Ciò non significa condividere tutte le misure che sono state prese in questi mesi. Resta il fatto che a cavallo tra l’estate e l’autunno scorso l’Italia era sull’orlo del default – con tutte le tragiche conseguenze che ciò avrebbe avuto, sul piano della tenuta europea così come su quello della coesione sociale interna – con l’aggravante di una classe politica distratta da problemi personali e giudiziari, incapace di affrontare con adeguatezza le enormi questioni poste sul tappeto. Nei mesi più recenti stiamo assistendo a un timido assestamento della condizione finanziaria generale, sia pure ottenuto attraverso il ricorso a manovre pesanti e non sempre innervate da vera equità, in quanto sbilanciate nel far pagare il conto soprattutto alle fasce di popolazione più deboli. Soprattutto – come ammoniva di recente mons. Bregantini, responsabile della Commissione CEI per i problemi sociali e del lavoro – i lavoratori non devono mai essere trattati come “merce”, né quindi essere considerati “fuori produzione”. In questo senso è doveroso porre l’auspicio che il Disegno di legge sulla riforma del lavoro venga modificato nella sua parte socialmente più ingiusta.
Rimane una domanda di fondo, che non può essere elusa: quale il ruolo della politica? E con essa, quale il ruolo dei partiti? Il governo Monti ha avuto la fiducia trasversale delle principali forze politiche nella sua veste di “governo tecnico”, o meglio di “governo di salvezza nazionale”; ma si è trattato e continuamente si tratta di scelte di natura politica, nella misura in cui non è pensabile il ricorso a vie diverse rispetto alla democrazia parlamentare. Qualcosa è tuttavia cambiato rispetto al passato: le forze politiche, nel momento dell’emergenza, hanno dovuto fare un passo indietro per fare spazio al cosiddetto governo dei banchieri e dei professori universitari - cioè al governo delle persone competenti, a sottolineare l’inadeguatezza di un ceto politico tacciato, esplicitamente o implicitamente, di incompetenza. Questo è il paradosso cui stiamo assistendo e che ci fa dire che il “dopo Monti” sarà diverso dal “prima di Monti”: per molti aspetti l’attuale esperienza governativa sta mostrando che la politica dei partiti è fallita, ma è altrettanto chiaro che senza i partiti non è possibile vita politica. Il paradosso va sciolto: è questa la sfida dei prossimi mesi. E a tale riguardo è giocoforza insistere su alcuni nodi: la qualità e la moralità del ceto politico, l’urgenza della rappresentanza e con essa la possibilità per i cittadini di scegliere i propri rappresentanti, l’insistenza sulla formazione alla politica.
Innanzi tutto la qualità, in primis morale, del ceto politico. Ogni giorno vediamo in Lombardia nuovi personaggi politici indagati nelle più svariate inchieste di corruzione, abuso d’ufficio, finanziamento illecito dei partiti, ecc.. Si impone un rigore personale, da parte di chi intende assumere l’onore e l’onere della rappresentanza ai più alti livelli della vita politica. Mai come oggi vale l’ammonimento dell’Art. 54 della Costituzione, che recita: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore…”. E questo rimanda senza soluzione di continuità a un nodo ulteriore: una problematicità obiettiva dell’attuale sistema elettorale risiede nell’eccessivo margine discrezionale attribuito alle segreterie di partito. In larga misura il parlamento non è composto di persone elette, ma di persone nominate. Occorre ripensare la legge elettorale nel suo insieme, ponendo i futuri parlamenti nelle condizioni più consone a governare realmente il Paese; ma prima ancora occorre restituire la parola ai cittadini, rendendo esplicito il fatto che la scelta delle persone deve dipendere dal consenso popolare e non dalle decisioni prese nelle varie stanze dei bottoni.
Ci fa piacere rilevare che nelle linee di massima queste proposte sono state valorizzate sia alla Settimana sociale di Reggio Calabria, sia al Forum di Todi: lo interpretiamo come un segno che i cristiani nel nostro Paese hanno una tradizione di impegno e un pensiero straordinariamente moderno, che sarà nostra attenzione continuare a coltivare per il futuro. E’ in questo senso che dobbiamo continuare a formare i cittadini al giudizio politico: è questo uno dei principali compiti che ci aspettano nei prossimi anni. In sinergia con altre realtà ed organizzazioni, rapportandoci maggiormente agli Uffici per la pastorale sociale e politica delle diocesi e con le proposte di formazione socio-politica da essi attivati, si tratta di riannodare i fili di un percorso in realtà mai interrotto: quello della promozione di una cultura politica a partire dai territori, con un’attenzione particolare ai giovani, perché è lì che si inizia a porre le basi per il cambiamento della società.
La Lombardia, sotto molti profili, è una regione di eccellenza; tuttavia anche in molti nostri territori si registra una situazione pesante sul piano occupazionale, nell’utilizzo della cassa integrazione e una scarsa tendenza nelle assunzioni dei giovani. Interi settori sono coinvolti nelle crisi industriali; aumentano i licenziamenti e gli inserimenti nelle liste di mobilità. Occorrono interventi sul piano degli ammortizzatori sociali, ma soprattutto è richiesta una politica imprenditiva capace di favorire la ripresa utilizzando tutti gli strumenti a disposizione della Regione, a partire dalla legge 1/2007 (legge sulla competitività) e da quei settori propri della Regione quali la sanità, i trasporti, l’energia e le telecomunicazioni, senza dimenticare l’artigianato e l’agricoltura. In questo scenario occupazionale è quindi urgente ripristinare politiche attive del lavoro incrementando l’occupazione giovanile attraverso gli strumenti dell’apprendistato e dei tirocini, favorendo la stabilizzazione del lavoro dei giovani; e proporre adeguati percorsi di reinserimento nel mondo produttivo, attraverso specifiche opportunità formative per gli Over 45.
Le piccole e medie imprese (PMI), vera eccellenza dell’economia lombarda, mai come in questo momento di crisi hanno bisogno di istituzioni in grado di governare l’utilizzo delle aree dismesse per favorire insediamenti produttivi, disincentivando le speculazioni immobiliari con un contemporaneo e significativo sostegno per l’accesso al credito da parte delle imprese stesse. Nel settore industriale manufatturiero è sempre più strategico favorire lo sviluppo della filiera della green-economy e delle fonti energetiche rinnovabili.
Nella precedente VII legislatura, Regione Lombardia si è dotata di un Piano Territoriale Regionale, che però non ha avuto forza sufficiente per ottenere una ordinata programmazione e pianificazione territoriale.
E questo soprattutto in relazione a quello che è forse il tema territoriale di maggiore attualità: il frenetico consumo di suolo. L’introduzione dell’obbligo al riuso delle aree dismesse, degradate o sottoutilizzate preventivamente rispetto all’edificazione su suoli liberi, prevedendo l’incentivazione ad esempio attraverso la defiscalizzazione degli oneri per la bonifica, rappresenta uno dei più urgenti sbocchi possibili. Analogamente bisognerebbe predisporre un sistema di incentivi e premialità per i comportamenti virtuosi dei comuni capaci di una progettualità per la manutenzione e cura del territorio e per il recupero ed efficientamento energetico del patrimonio edilizio esistente.
Abbiamo cercato di rileggere il modello di welfare che la Regione Lombardia ha proposto in questi ultimi quindici anni e che intende completare nell’anno 2012. La Regione Lombardia imposta tutta la sua riforma del welfare per il futuro su alcune parole chiave:
- il passaggio da un sistema di welfare centrato sull’offerta dei servizi ad un sistema centrato sulla domanda di cura e assistenza dei cittadini;
- libertà di scelta del cittadino/utente – estensione totale dei voucher e buoni e/o dote.
- libertà di iniziativa e competizione tra erogatori di servizi;
- responsabilità di tutti gli attori del sistema di welfare
- la funzione di accreditamento nettamente separata dalla contrattazione.
- Per quanto riguarda il primo punto occorre fare attenzione al fatto che un reale passaggio dall’offerta alla domanda è possibile solo se vengono prima definiti i lea, liveas o lep. Senza questa definizione dei livelli essenziali di garanzia dei diritti dei cittadini il rischio è che lo spostamento sulla domanda sia una mera operazione di contenimento della spesa attraverso la definizione di budget blindati. A tale proposito riconfermiamo la proposta formulata nei mesi scorsi dal Forum del Terzo Settore e dalla Consulta delle Opere diocesane sociosanitarie, della costruzione di un modello regionale di livelli essenziali di assistenza.
Costruire un sistema di welfare sulla domanda richiede la conoscenza della reale consistenza della domanda sociale e socio-sanitaria presente sul territorio e la rimodulazione, continua, dell’offerta per la predisposizione di risposte adeguate. Dalle linee strategiche emerge, invece, un’applicazione della scelta di impostare il welfare sulla domanda ma a partire da alcune priorità che afferiscono più alle situazioni di emergenza sociale e non ad un vero approccio di riforma dell’intero sistema di welfare.
Non basta regolamentare i servizi per produrre un sistema di welfare centrato sulla domanda.
La scelta di passare dalla offerta alla domanda è allora condivisibile se accompagnata da una governance del sistema fatta dagli enti che hanno la competenza della promozione dei propri cittadini. Questo apre la riflessione sul fatto che tale governance non può essere fatta né da un’azienda, né dal singolo comune. E’ necessaria la definizione dell’ambito territoriale ottimale per la gestione efficiente, efficace ed economica del welfare.
Rispetto ad un sistema di welfare centrato sulla domanda si apre anche una preoccupazione che afferisce alla necessità di garantire su tutto il territorio le prestazioni necessarie ai cittadini. Se l’erogazione di una prestazione non è economicamente sostenibile, anche se necessaria per i cittadini, chi garantirà che questa venga comunque erogata? Ci sono zone del territorio lombardo, ad esempio quelle montane, in cui l’erogazione di alcune prestazioni ha costi molto più elevati dei costi standard previsti per i voucher. Occorre declinare la soddisfazione dei diritti con la sua sostenibilità economica. Non ci si può nascondere di essere in un sistema di diritti finanziariamente condizionati.
Un’ultima considerazione, relativamente al primo punto, è che un sistema di welfare centrato sulla domanda richiede una rivisitazione e una riequilibrazione anche dell’offerta oggi presente sul territorio lombardo. Vanno, comunque, garantiti livelli prestazionali minimi in tutti gli ambiti territoriali (si pensi ad esempio alla necessità di rivedere l’offerta di residenzialità per anziani sul territorio).
- Per quanto riguarda la libertà di scelta dei “cittadini-utenti”, è sempre più urgente e opportuno avviare una riflessione sul tema della libertà. Occorre sottolineare che le persone sono intrinsecamente libere, ma l’agito della libertà non è dote innata, ma va educata. Quindi garantire un’effettiva libertà di scelta richiede di garantire ai cittadini anche quella funzione di accompagnamento pedagogico che gli permette di agire la propria libertà in modo adeguato e consapevole.
La libertà di scelta richiede da una parte un adeguato e quotidianamente mantenuto sistema di accreditamento e di monitoraggio dell’offerta e dall’altra una funzione di advocacy che i servizi di accesso, ad esempio il segretariato sociale, al sistema devono garantire nei confronti dei cittadini. Non va dimenticato infatti come un cittadino economicamente ricco è comunque in grado di soddisfare un suo bisogno anche sociale, mentre una famiglia in difficoltà economica da sola e senza nessuna protezione sociale non ha questa possibilità.
Un’altra riflessione rispetto alla libertà di scelta dei “cittadini-utenti” è quella legata alla dimensione comunitaria del welfare, ma anche dello stesso “cittadino/utente”. Se il sistema di cura è una questione privatistica, questo toglie al sistema quel valore aggiunto che è garantito da una comunità che si sa prendere cura dei propri soggetti fragili e lede la funzione taumaturgica delle relazioni significative con il proprio contesto di appartenenza (relazioni calde, e non solo quelle familiari, garantiscono un vissuto più sereno della fragilità). Il sistema welfare centrato sulla domanda richiede anche un investimento sulla tenuta di quella prossimità sociale che ha garantito positivamente l’evoluzione del sistema di welfare del nostro territorio.
In questa logica siamo preoccupati per una certa deriva verso l’utilità sociale che stà guidando il volontariato ad assumere sempre più una dimensione sussidiaria (e quindi di servizio) piuttosto che privilegiare la solidarietà (il valore aggiunto della relazione, dell’integrazione e non sostituzione dei servizi). Ci interroghiamo continuamente allora su quale spazio per il volontariato in un sistema centrato sulla libertà di scelta dei “cittadini-utenti”.
- Questo apre alla terza priorità regionale: la libertà di iniziativa e di competizione.
L’introduzione delle logiche di mercato nel sistema di welfare non è garanzia di qualità. Basta uno sguardo a quanto è successo nel sistema sanitario per rendersi conto che un sistema centrato sul mercato richiede un forte governo della domanda se non si vuole un’esplosione della spesa.
Occorre, inoltre, fare attenzione al fatto che le prestazioni sociali e socio-sanitarie, proprio per le loro caratteristiche intrinseche, richiedono una dimensione territoriale e domiciliare e non sono comprimibili in strutture erogative centralizzate. Questo incide in modo significativo sulla sostenibilità economica dell’offerta. E non esiste un sistema centrato sulla domanda se non c’è un’adeguata offerta.
La libertà di iniziativa degli enti erogatori va coniugata con i diritti dei “cittadini utenti” su tutto il territorio lombardo.
- Da sottolineare la quarta priorità regionale: la necessità di passare ad un welfare delle responsabilità. Appare ormai chiaro a tutti che la sostenibilità del welfare futuro passa attraverso il coinvolgimento responsabile di tutti i cittadini. Questo sia per quanto riguarda la parte erogativa dei servizi (il ruolo della sussidiarietà orizzontale), sia per quanto attiene alla sostenibilità del sistema sia in termini di coerenza della domanda espressa, sia per quanto riguarda la promozione di comportamenti di vita sani (skills for life), che per la compartecipazione sostenibile degli utenti alla spesa per la fruizione delle prestazioni sociali e socio-sanitarie. Interessante per quanto riguarda questo ultimo punto è l’introduzione di un sistema di compartecipazione che faccia riferimento al “Fattore Famiglia Lombardo”, con l’obiettivo di superare l’ISEE e istituire uno strumento capace di valutare la composizione del reddito familiare commisurandola alla composizione del nucleo e ai carichi di cura.
Questo deve essere applicato non solo per l’erogazione agevolata delle prestazioni sociali, ma anche per quelle socio-sanitarie (la logica di erogazione di quote rette uguali per tutti richiede di essere superata commisurandola all’effettiva capacita finanziaria della famiglia e alla sostenibilità dei servizi. Questo evitando di trasferire sui comuni eventuali differenziali economici derivanti da una riforma della compartecipazione regionale ai costi dei servizi. La definizione dei costi standard dei servizi deve essere commisurata al fattore famiglia lombardo, fatta salva la garanzia dei budget necessari per la sostenibilità dei servizi).
- Un’ultima riflessione sulla funzione di accreditamento nettamente separata dalla contrattazione. Detta in altri termini la separazione tra l’accreditamento e la messa a contratto delle strutture erogative di servizi e prestazioni sociali e socio-sanitarie. Se si comprende la finalità di contenimento della spesa e di aumento dell’offerta che ha indotto la Regione Lombardia a fare questa scelta, rimane alta la preoccupazione che questa si traduca in un aumento significativo dei costi a carico delle famiglie e dei comuni. E’ infatti impensabile che gli enti erogatori si tengano a carico eventuali differenziali negativi tra costi e ricavi dovuti ad una diminuzione del budget. I costi verranno caricati preventivamente sulle rette a carico dell’utenza. Da qui l’aumento del carico economico su famiglie e comuni.
Rimane, invece, tutto da esplorare le eventuali economie di scala che un investimento su prestazioni sociali preventive o su prestazioni socio-sanitarie di sostegno alla domiciliarità o sull’attivazione di alcuni posti in RSA per la lungodegenza, (che ha costi molto più bassi di quelli per un posto letto ospedaliero – più del 60% in meno), inducono sui costi sanitari e quindi sulla possibilità di spostare quote di risorse sanitarie sul sociale e sul socio-sanitario.
E' in tale senso che le ACLI lombarde hanno avviato e sviluppato alcune attività innovative (si pensi ad esempio alle convenzioni stipulate con Banca Intesa e Confcooperative, o la costituzione di FareWelfare Lombardia) per mettere in campo azioni orientate ad un nuovo modo di fare welfare ed essere vicini ai cittadini ed alle famiglie.
Il discorso svolto finora rischierebbe tuttavia di essere astratto se non cercassimo di incanalare fedeltà, impegno, testimonianza nel tessuto concreto della vita associativa. Le ricadute peculiari paiono essere le seguenti:
- Dobbiamo avvertire che al nostro interno vi è una democrazia reale e vissuta. Si la l’impressione che alcune logiche ostacolino processi di trasparenza democratica, privilegiando il mantenimento dello status quo, talora giustificando il tutto con l’assenza di nuovi quadri dirigenti cui affidare la guida del movimento. Giustificazione debole: sia perché pare palesemente incapace di nascondere interessi di vero e proprio mantenimento delle “proprie quote”, sia perché, se vera, si rivela essere un boomerang, poiché all’attuale classe dirigente spettava far crescere la nuova e non vi si è riusciti.
- Il movimento deve ulteriormente qualificarsi per una autonoma e originale produzione
di pensiero. Nella loro storia le ACLI hanno sempre avuto questa caratteristica; anche oggi e a maggior ragione la peculiarità del ruolo delle ACLI ci chiama ad offrire al mondo dei credenti e alla società tutta l’originalità della nostra riflessione, oltre che della nostra operosità, perché in questa operosità risiede il nostro carisma a beneficio di tutti.
- Ne consegue una scala di priorità: o il movimento sceglierà la formazione e un percorso di spiritualità quali cardini del proprio essere, o è destinato a tramontare. Pensare che i servizi possano bastare a legittimare una presenza significativa, porta a una sconfitta annunciata.
- Più volte abbiamo detto e sentito che il movimento ha una dimensione politica. Ed è vero: essa anima e ha animato la dialettica interna, ha permesso il confronto, ma mediato le posizioni. Resta indispensabile che tale dimensione politica venga vissuta come autentico servizio, dove la propria presenza si avverte come quella dei servi inutili. Se così non fosse, tale dimensione finirebbe inesorabilmente per vanificare l’intero percorso associativo.
Da ultimo un passaggio sul ruolo del livello regionale nelle ACLI
Spesso il livello regionale somiglia troppo agli altri due livelli – quello provinciale e quello nazionale – e non ha sufficiente identità e strumenti propri. In un’organizzazione pur sempre unitaria le regioni potrebbero assumere responsabilità nuove, a condizione che si definiscano modifiche statutarie coerenti con le esigenze di un nuovo regionalismo, a partire da:
- Lo sviluppo delle risorse umane. Se siamo convinti che un’associazione complessa come le ACLI ha bisogno, per essere gestita, di dirigenti sorretti non solo dal consenso ma anche competenti, allora occorre far diventare obbligatoria una formazione unitaria e specifica dei suoi responsabili. Penso a due moduli: uno di formazione generale e uno di preparazione specifica alla responsabilità assunta. Certo la formazione non sostituisce il consenso; non vogliamo un’organizzazione tecnocratica, ma la complessità non si gestisce solo con le dichiarazioni d’intenti e la buona volontà. Inoltre questa formazione “obbligatoria” consentirebbe di avere un luogo dove le molte diversità del sistema potrebbero incontrarsi, parlarsi, riconoscersi, trovare un linguaggio e identità comuni. In tal senso richiamiamo i percorsi formativi sviluppati con/per i dirigenti e i volontari del sistema realizzati per favorire la crescita delle attitudini, delle abilità e delle competenze, responsabilizzando sia le figure politiche che organizzative, sui temi della buona gestione, della rendicontazione e dell’innovazione.
- In secondo luogo occorre decidere quali sono le priorità in cui investire per fare innovazione e servizi di qualità. L’assenza di un orientamento chiaro, inseguendo piste divergenti, limiterebbe infatti l’efficacia dei nostri servizi e della nostra azione sociale.
- Infine le ACLI che vogliamo dovranno essere capaci di una strategia ispirata a un modello associativo dai confini più mobili, caratterizzato da grande flessibilità e capacità di stabilire relazioni e collaborazioni strutturate con altri soggetti orientati al bene comuni. Ci vuole pazienza e determinazione, ma anche la lucidità di sapere che le ACLI che abbiamo ereditato non sono e non possono essere eterne. A noi il compito di cambiarle, nella fedeltà a una memoria che ancora ci aiuta a spingerci con coraggio verso il futuro.
Termino con una citazione di un illustre maestro: Pietro Scoppola. “Esprimere oggi una fede come cittadini impegnati è diventato un compito difficile che mette a dura prova non solo la pazienza di cercare il bene comune, ma il modo stesso di vivere l’esperienza di fede continuamente sottoposta alla revisione razionale del confronto democratico e dell’opinabilità delle soluzioni. Ma proprio la difficoltà con cui i credenti vivono la dialettica tra le ragioni della fede e il principio democratico della maggioranza rappresenta per ogni democrazia un potente antidoto al politique d’abord, alla presunzione cioè che la politica possa fare tutto e da sola. In politica, come nella Chiesa, è in molte circostanze trasforma i capi, se essi hanno l’umiltà di ascoltare. Non vi è per fortuna nessuna forma partito, nessuna ragione di partito, che determina la superiorità di questo o di quel comportamento individuale o collettivo: la sfera dell’etica e dei comportamenti precede e non segue il progetto politico e deve ispirare le leggi e le regole”.
Clicca sull'icona per scaricare il documento in formato pdf
Clicca sull'icona per scaricare il documento in formato pdf
1 Un cenno specifico meriterebbero le indagini sociologiche che negli scorsi anni, con l’aiuto dello studio Excursus prima dell’Istituto per la ricerca sociale (IRS) poi, abbiamo svolto a proposito della vita dei circoli. Il tema è decisivo: comprendere e rilanciare le modalità aggregative delle strutture di base e l’apporto dell’azione volontaria che ne costituisce il cuore pulsante. La ristrettezza dei tempi non ci consente di soffermarci adeguatamente su tale punto, che rimandiamo ad un prossimo Consiglio Regionale.

Nessun commento:
Posta un commento